Campo Lavoro Missionario: la storia
Il Campo Lavoro missionario nasce nel 1981 a Riccione ad opera di alcune parrocchie. Lo scopo era quello di finanziare, attraverso la vendita di materiali di scarto, alcuni progetti di missionari locali impegnati in paesi poveri. Quell'idea sembrò allora piuttosto strana: l’attività di recupero non era allora pratica diffusa e neppure si poteva neppure immaginare il grande sviluppo che avrebbe conosciuto nel giro di qualche anno.
L'organizzazione fu da subito ben congeniata: un nutrito gruppo di volontari presto costituitosi grazie ad un convincente passa parola, un punto di raccolta allestito presso una parrocchia cittadina, qualche camion generosamente prestato, la distribuzione casa per casa di un sacco per il ritiro degli oggetti, un volantino con le indicazioni e le informazioni utili. Nei giorni della raccolta, i sacchi venivano ritirati dai volontari che provvedevano alla suddivisione e allo stoccaggio. Il materiale così preparato era poi rivenduto sul mercato del recupero e, con il ricavato, si provvedeva a finanziare l'opera di un missionario. Il risultato economico non era, così come non è tutt'oggi, l'unico obiettivo del Campo. Oltre che come iniziativa di solidarietà, il Campo venne sin dall'inizio concepito anche come occasione di socializzazione, come opportunità di incontro fra persone con convinzioni, esperienze, provenienze anche molto diverse. L'obiettivo era, ed è, lavorare insieme nella convinzione che "un altro modo e un altro mondo è possibile".
Per qualche tempo il Campo continuò a funzionare all'insegna dello spontaneismo, animato da "persone di buona volontà". Poi, poco alla volta, si cominciò a comprendere che occorreva saldare l'esperienza dei volontari impegnati nella raccolta con quella dei missionari destinatari degli aiuti. Maturò insomma l'esigenza di evitare il rischio di una frattura tra "noi" e "loro": da una parte i volontari, generosi ma poco informati della destinazione degli aiuti, e dall'altra i missionari, sconosciuti fantasmi impegnati in terre lontane. Iniziarono così i primi incontri, i dibattiti nelle parrocchie, le testimonianze in diretta, grazie alle quali l'esperienza del Campo Lavoro iniziò ad assumere un significato più consapevole e partecipato.
Uno dei primi appuntamenti, alla vigilia del Campo 1985, fu l'incontro con Padre Bernardo Coccia, missionario in Etiopia. In quella serata, si parlò della drammatica situazione dell'area, dei progetti della missione, in particolare della necessità di terminare la costruzione di un ambulatorio medico: insomma si cominciò a toccare con mano i bisogni da soddisfare, sentendosi sempre più coinvolti. Grazie anche a questa accresciuta sensibilizzazione, gli sforzi presto si intensificano ed iniziò ad allargarsi il fronte della raccolta. Alle zone storiche di Riccione si aggiungono, poco alla volta, altre località e vengono aperti nuovi centri di raccolta: prima a Rimini poi a Bellaria. L’attività diventa sempre più intensa e la preparazione del Campo richiede ormai mesi di lavoro.
Il tempo scorre veloce e si arriva ad oggi. Ai tre centri di raccolta iniziali, altrettanti se ne sono aggiunti negli ultimi anni: a Villa Verucchio, a Cattolica e, con il Campo 2014, a Santarcangelo. Aumentano le dimensioni del Campo, aumenta il numero dei volontari impegnati, aumentano gli aiuti alle missioni all’estero ma anche ai “poveri della porta accanto” (progetti in tal senso sono stati condivisi con la Caritas diocesana). Ormai dell’esperienza pionieristica riccionese rimane ben poco, se non il suo spirito originario, opportunamente riadattato alla non facile situazione di oggi dove le iniziative di solidarietà sembrano soccombere di fronte ad una società per tanti aspetti così chiusa su di sé, così distante, così difficile da coinvolgere.
In questo senso, il Campo Lavoro costituisce certamente una testimonianza in controtendenza che però non intende esaurirsi nelle due giornate di raccolta, seppur così intense e coinvolgenti. A fronte dei drammi del mondo e di una certa apatia oggi dilagante, il Campo non ha mai voluto essere un'isola per pochi eletti o un momento di purificazione che, in due giorni di lavoro, restituisce coscienze immacolate per un anno intero. In realtà, accanto al gesto solidale, il Campo ci pone di fronte ad una sfida molto più impegnativa: ripensare il proprio stile di vita, mettersi in discussione fino in fondo, in una parola diventare cittadini (credenti o meno) migliori. E ciò partendo dall'assunto che l'indifferenza sia il peggiore dei mali e che nessun vero e duraturo cambiamento sociale sarà possibile se non si comincerà con il cambiare se stessi.